Trattamento di una recidiva della crosse safeno-poplitea.

La termo-obliterazione del moncone residuo con metodica laser e fibra ottica SLIM si è rivelata risolutiva in una paziente di 69 anni con un’ampia recidiva di crosse.

Parliamo di una recidiva di crosse nel momento in cui in precedenza sia stata eseguita una crossectomia. Molti studi riportano che questo tipo di recidiva varicosa [Figure 1,2] è dovuta a un moncone safenico troppo lungo, a una neoangiogenesi o alla progressione della patologia varicosa.

Il moncone lungo è dovuto alla mancata resezione a raso sulla vena profonda ed è dal moncone che insorge la recidiva: ne sono la causa una diagnostica non ottimale e un successivo trattamento chirurgico non corretto. La neoangiogenesi, al contrario, si verifica anche dopo una chirurgia radicale e corretta [Figura 3]. Dati riportati in letteratura indicano una minor incidenza della neoangiogenesi dopo un trattamento endovascolare [Figura 4].

Presso la City Clinic di Bolzano, il mio gruppo si è costruito un’esperienza di oltre 15 anni nel trattamento endovascolare, con 6093 casi trattati. La recente disponibilità di nuove tecnologie, con fibre più sottili (fibra SLIM radiale e 2ring) e con frequenze laser differenti, hanno consentito di effettuare trattamenti molto più selettivi. Nello specifico, oggi è possibile sigillare monconi residui che causano recidive di crosse e vene perforanti chiudendo i vasi a raso con il sistemo venoso profondo, senza esporre il paziente a rischi di trombosi (EHIT).

Anamnesi

Si è presentata alla nostra attenzione una paziente di 69 anni sottoposta nel novembre del 1997 a una crossectomia e stripping della vena piccola safena sinistra, che aveva dato luogo a una recidiva due anni dopo. In ecografia, si è evidenziato un reflusso nel moncone residuo lungo 3,6 centimetri. La paziente è stata sottoposta nell’anno 2009 e nell’anno 2012 a una procedura di scleroterapia con scleromousse (Atossisclerol al 3%); alla scleroterapia è stata associata una miniflebectomia. Nel 2016 la paziente si è ripresentata con un’ampia recidiva dovuta al reflusso dal moncone.

Intervento

Nella scelta terapeutica, abbiamo optato per una termo-obliterazione del moncone residuo associata a flebectomia delle vene varicose. In questa metodica d’intervento, si procede sotto guida ecografica a una puntura diretta del moncone (possibile anche con ago cannula) con inserzione della fibra SLIM fino nella vena poplitea. Sempre sotto controllo ecografico, la fibra viene posizionata a livello della giunzione con la vena profonda. In casi di moncone lungo, come in questo, l’incannulamento sotto guida ecografica non presenta problemi. Il fallimento di questo metodo si verifica quando non si riesce a posizionare la sonda nel moncone refluente, a causa di un moncone troppo corto o tortuoso (la nostra casistica riporta un’incidenza del 20% circa dei casi).

La potenza utilizzata è al massimo di 5 watt, in modalità continua. L’anestesia tumescente serve anche a comprimere il vaso sulla fibra. In seguito alla chiusura del moncone, vengono eseguite le flebectomie in anestesia locale.

A seguire, alla paziente viene applicato un gambaletto elastocompressivo di seconda classe, per circa 10 giorni.

Questi trattamenti sono eseguiti in regime ambulatoriale senza necessità di ricovero.

Risultato e follow-up

La paziente è stata sottoposta a un primo controllo postoperatorio a due giorni; mentre gli ulteriori sono stati a 7 e a 30 giorni. Vengono poi raccomandati controlli a cadenza annuale. A distanza di 3 anni il moncone trattato non è più rilevabile. Attualmente la paziente non evidenzia recidive varicose.

Figura 1
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Figura 2
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Figura 3
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Figura 4
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Conclusioni

Il laser nei monconi residui: l’occlusione di un moncone safenico mediante terapia laser con fibra ottica SLIM è un’ottima strategia terapeutica sia a livello popliteo sia a livello inguinale.

L’importanza dell’esperienza: tale trattamento richiede una certa dose di esperienza nel controllo ecografico, nella puntura
del moncone e anche nel posizionamento della fibra. Si raccomanda quindi l’esecuzione da parte di un flebologo esperto in ecografia oltre che in trattamenti termoablativi.

Un’altra opzione: l’alternativa resta la sclero-mousse, che viene scelta quando non sia possibile incannulare il moncone.

Vein clinic: un’esperienza pionieristica in Lombardia.

L’Ambulatorio di Flebologia avanzata dell’Ospedale SS Trinità a Romano di Lombardia, in provincia di Bergamo, rappresenta un unicum nel panorama sanitario italiano: gli ottimi risultati raggiunti dimostrano l’efficacia, anche economica, di un modello di flebologia endovascolare in regime ambulatoriale.

La mia esperienza con l’Ambulatorio di Flebologia avanzata dell’Ospedale SS Trinità di Romano di Lombardia, in provincia di Bergamo, ora considerato un centro di eccellenza nazionale, è nata nell’ottobre 2017. In quel periodo infatti sono stato chiamato dal Dipartimento di Scienze chirurgiche dell’azienda sanitaria di Bergamo Ovest, con il mandato di organizzare una struttura di flebologia in regime prettamente ambulatoriale, seguendo i dettami delle linee guida flebologiche internazionali. Queste infatti prevedono un trattamento ambulatoriale puro, eseguito con terapie endovascolari mininvasive.

L’organizzazione della struttura

Siamo partiti con una struttura dedicata all’attività diagnostica, clinica e operativa, nella sede di Romano di Lombardia, affiancata, una volta alla settimana, dalla struttura di Treviglio, sempre in provincia di Bergamo, solo per l’attività diagnostica. Un ambulatorio, precedentemente utilizzato per gli interventi di chirurgia in anestesia locale, è stato modificato e riadattato per creare un percorso in cui il paziente trova, in sequenza, lo spogliatoio e il bagno, la zona operativa e infine una zona di relax in cui rimane in osservazione per 15-30 minuti, prima di essere dimesso.

Nell’ambulatorio opera personale dedicato, con due strumentisti e due infermiere fuori sala, che si alternano nella sala operatoria. Qualche difficoltà l’abbiamo incontrata inizialmente per il reperimento dell’ecografo, che è uno strumento fondamentale per l’intervento di termoablazione laser, poi risolta grazie alla collaborazione dell’ingegneria clinica.

Da sottolineare che la procedura non richiede la presenza di un anestesista durante l’intervento: è sufficiente che questa figura sia presente nella struttura, in caso di emergenze. Particolare attenzione è stata posta al rilassamento dei pazienti, che vengono operati al buio, con la possibilità di ascoltare della musica, e con la presenza tranquillizzante di tutto il personale. L’utilità di questo approccio è sottolineata non solo dalla soddisfazione espressa dai pazienti stessi, ma anche dai numeri relativi alla sedazione, utilizzata in una percentuale irrisoria di casi: basti pensare che nel primo anno sono stati operati 275 pazienti e ne sono stati sedati meno di 10.

Dal reclutamento al post operatorio

I pazienti vengono selezionati nell’ambulatorio di flebologia, che prevede sia l’accesso per le visite flebologiche sia l’accesso per la diagnostica con ecocolordoppler. I candidati vengono messi in lista di attesa, seguendo un protocollo interno appositamente dedicato che prevede delle liste di priorità.

Una volta in lista, le infermiere chiamano i pazienti per la cartella clinica, perché non eseguiamo un pre-ricovero con esami ematochimici, ECG o altri accertamenti pre-operatori. Almeno 15 giorni prima dell’intervento, viene compilata un’anamnesi molto accurata e la chiamata è fatta con una settimana di anticipo: sono periodi di tempo adeguati, anche perché i pazienti possono arrivare da fuori regione. A questo punto viene compilata l’impegnativa per l’intervento, vengono prescritte la calza e la profilassi con eparina e si fissa la data dell’intervento.

È importante sottolineare che ai pazienti viene fornito un opuscolo in cui si spiega che cos’è la malattia varicosa, quali sono i tutti i trattamenti indicati dalle linee guida (in generale, non solo nel nostro centro), qual è l’intervento più indicato per il loro caso, come viene fatta la termoablazione laser, quali sono i possibili rischi ed effetti collaterali. Poi naturalmente si procede con la compilazione del consenso informato e con tutte le indicazioni su come il paziente dovrà comportarsi prima e dopo l’intervento.

Il giorno dopo l’intervento viene fatta un primo ecocolordoppler di controllo e viene programmato il controllo successivo, oppure viene programmato l’intervento di ecosclerosi con schiuma per completare il trattamento dei rami collaterali.

Riassumendo, per tutte le fasi di registrazione, passaggio al CUP, mappatura ecografica, intervento e post-operatorio, il paziente rimane impegnato per circa due ore.

Uno sguardo al futuro

Il centro ha iniziato a funzionare in modo soddisfacente e con ottimi risultati. La stampa locale ha poi diffuso le informazioni sulla nuova opportunità d’intervento laser per la risoluzione delle varici, e quindi anche l’affluenza dei pazienti è aumentata: prima del mio arrivo, venivano eseguiti 20 interventi laser all’anno, dopo il mio arrivo a tutt’oggi, ho praticato quasi 500 interventi di EVLA. L’obiettivo dell’azienda è un ulteriore potenziamento per aggiungere almeno altri 100 pazienti all’anno. Ora siamo a circa sette mesi di attesa per il laser e 7-8 per l’ecosclerosi con schiuma e si rende ora necessaria una figura di assistente, almeno per la diagnostica.

Un modello vincente

L’Ambulatorio di Flebologia avanzata di Romano di Lombardia ha fatto da apripista per una tipologia organizzativa che nel nostro Paese ancora stenta ad affermarsi nel settore pubblico. Molti amministratori si lasciano spaventare dal costo del device, non considerando che i costi per l’azienda comprendono tutto il percorso nella struttura, da quando il paziente entra a quando esce. Complessivamente, il prototipo di una vein clinic sul modello statunitense, con interventi ambulatoriali mininvasivi, è nettamente vantaggioso anche in termini economici, senza contare il risparmio per il sistema sanitario nazionale, dovuto al fatto che si abbattono i rischi di eventuali complicanze tromboemboliche, prescrizioni di anticoagulanti, giorni di ricovero, giorni di assenza dal lavoro e altri costi sociali.

In conclusione, la mia personale raccomandazione è che il professionista che si prende in carico la gestione dell’ambulatorio di flebologia endovascolare si dedichi esclusivamente a questa attività. In altre parole, perché la struttura funzioni con la massima efficienza, occorre evitare che il chirurgo pratichi la chirurgia laser delle varici a latere di altre chirurgie generali o vascolari.

Speriamo che l’affermazione e successo della nostra Flebologia avanzata aiuti a superare le tante difficoltà culturali e politiche che finora hanno frenato la diffusione di questo modello organizzativo. 

Conclusioni

Il modello: l’Ambulatorio di Flebologia avanzata di Romano di Lombardia (Bg) si è sviluppato in pochi mesi, grazie a un’organizzazione razionale e agile delle risorse umane e della logistica.

I numeri: il Centro attualmente offre il trattamento di termoablazione laser delle varici in regime strettamente ambulatoriale a circa 300 pazienti all’anno, e i numeri sono destinati a crescere ancora.

Efficacia e tollerabilità: l’intervento impegna il paziente per un tempo molto limitato e riscuote un alto gradimento in termini di tollerabilità ed efficacia.

I costi: il trattamento ambulatoriale delle varici è economicamente conveniente, nonostante il device abbia un maggior costo rispetto alla chirurgia convenzionale.

Indicazioni avanzate: la piccola safena, la grande safena cosiddetta “difficile”, le varici recidive e le vene perforanti.

Un percorso che dagli anni 90 ad oggi ha portato la tecnica ELVeS radial a doppia emissione, ad essere riconosciuta come tecnica d’eccellenza per il trattamento di molti aspetti della malattia varicosa, andando a sostituire gli interventi tradizionali: si vanno ad esaminare le ragioni.

Nell’unità polispecialistica di Manerbio sono stati condotti negli ultimi tre anni circa 250 interventi di chirurgia endovenosa con il laser 1470 nm e fibre ottiche radiali “double ring”. L’introduzione nel 2016 della nuova tecnologia a emissiione radiale e con una lunghezza d’onda di 1470 nm ha condotto rapidamente, a un cambiamento radicale nell’atteggiamento chirurgico nel trattamento delle varici (Figura 1).

È stato netto il calo dei tradizionali interventi di stripping invaginante di breve e media estensione che si conducevano dagli anni ’90, ambulatorialmente o in day hospital, utilizzando il blocco del nervo femorale sotto guida ecografica ed elettrostimolazione. Con l’introduzione delle nuove fibre radiali con il laser 1470 nm si sono interrotti  gli interventi endovenosi con fibra piatta 980 nm intrapresi dal 2006. Le procedure di termoablazione hanno avuto un incremento esponenziale in breve tempo. a scapito degli  interventi tradizionali, Il concetto di “trattamento avanzato” della malattia varicosa è soggettivo, e legato al know-how e all’esperienza dell’operatore, ma senz’altro gli sviluppi tecnologici fino alle attuali fibre radiali e l’adozione di particolari accortezze hanno modificato e ampliato le indicazioni al trattamento con laser endovenoso. Lo si riscontra soprattutto per gli interventi condotti su vene a decorso superficiale, di calibro elevato, tortuose o angolate e vicine ai nervi periferici, tutte caratteristiche considerate “controindicazioni” all’esecuzione del laser endovenoso.

Oggi si potrebbero considerare “avanzate” quelle procedure di laser endovenoso un tempo considerate  impraticabili e legate, ad esempio, a una sede molto superficiale della vena da trattare o vicina a strutture nervose o con un’evidente difficoltà ad essere percorsa con la fibra ottica, o in uno spazio molto ridotto tra sede di inizio del trattamento e vena profonda, tipicamente alla giunzione safeno-femorale.

Figura 1

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Per quanto riguarda il trattamento laser dei reflussi della piccola safena (Figura 2) le iniziali perplessità del passato erano  le medesime della chirurgia tradizionale: la vicinanza del nervo surale in corrispondenza del terzo medio del polpaccio e la variabile anatomia del cavo popliteo e dei nervi periferici che vi decorrono (tibiale, rami terminali del nervo cutaneo posteriore del femore, e nervo surale). Da settembre 2016 nel nostro centro non sono più state eseguite procedure chirurgiche tradizionali per la patologia delle piccole safene: l’esecuzione di una anestesia tumescente accurata, l’impiego di una bassa potenza (5 watt rispetto al nostro standard usuale di 7) e la ridotta energia erogata hanno permesso di condurre a termine e senza difficoltà, tutte le 48 termoablazioni laser eseguite in questi ultimi due anni, con solo 3 casi di parestesie transitorie della superficie laterale del piede.

Per quanto riguarda quella che possiamo definire la grande safena difficile, ai problemi già indicati, legati alla variabilità anatomica normale,(eccessiva tortuosita del tronco) e alla possibilità di un danno termico (sede extrafasciale della grande safena, diametro massimo trattabile e rapporti di particolare contiguità con i nervi periferici), dobbiamo aggiungere i problemi legati all’anatomia modificata: precedenti varicoflebiti con ricanalizzazione parziale e presenza di pregresse interruzioni chirurgiche del tronco safenico. In presenza di un reflusso lungo alla gamba è possibile estendere la termoablazione distalmente, eseguendo una buona tumescenza, riducendo la potenza applicata e l’energia erogata; ciò permette la riduzione al minimo dei rischi di danno neurologico sensitivo, Le pigmentazioni cutanee e  la comparsa di fastidiosi cordoni fibrosi sono problematiche possibili nei soggetti molto magri, ma il piu delle volte suscettibili di evoluzione spontanea favorevole nell arco di mesi

Anche nel caso  di procedure  sulla grande safena estese al terzo medio  basso della gamba, su 43 casi trattati in due anni, nel nostro centro sono stati osservati solo tre casi di parestesia transitoria del piede e un caso di lieve ipoestesia permanente sul collo del piede che non ha tuttavia alterato la qualità di vita del paziente, e non ha posto problemi di contenzioso legale.

Le tortuosità e le interruzioni iatrogene del tronco safenico non hanno invece mai posto particolari problemi. Il nostro modus operandi, è una termoablazione in più tempi  nella stessa seduta, preparando tutti i tratti di vena da trattare incannulati da guida flessibile prima della tumescenza. Questo richiede naturalmente un’adeguata esperienza di punture percutanee ecoguidate della vena.

Figura 2

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È possibile, e anche frequente, che esista un’associazione di reflussi fra la piccola safena prossimale e la grande safena distale: nella nostra casistica già illustrata di 48 casi in due anni di malattia della piccola safena questo è avvenuto in otto casi (Figura3).

Talora, invece, il reflusso segue traiettorie differenti  È il caso della safena accessoria anteriore, che molto spesso è interessata da reflusso (figura 4) con tronco safenico principale, competente,  che può essere conservato, effettuando una terapia che sia al contempo efficace e selettiva, condotta solo sugli elementi incontinenti: la quantità di energia da erogare a livello della crosse è ancora un problema non completamente risolto. Al momento, l’approccio consigliabile, consiste nel procedere con la termoablazione a filo della confluenza della branca continente per poi monitorare nel tempo il moncone, che può anche essere di dimensioni notevoli, pronti a successivi interventi di termoablazione o scleroterapia ecoguidata. Nel nostro centro non trattiamo direttamente le perforanti salvo che si tratti di perforanti incontinenti responsabili di reflussi lunghi (13 casi dal 2006). In questi casi, la nostra tecnica consiste nel procedere con la termoablazione fino al punto di confluenza della perforante con il circolo profondo, se tecnicamente possibile. 

Figura 3

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Figura 4

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Conclusioni

Trattamenti avanzati: la tecnica ELVES radial a doppia emissione è oggi riconosciuta tecnica d’eccellenza nel trattamento di un’ampia percentuale di varici da reflusso safenico.

Estensione ambiti applicativi: con piccoli “trucchi” possono essere trattate vene superficiali, tortuose, di grande calibro, vicine a nervi periferici.

Il trattamento ambulatoriale: come eseguirlo in sicurezza e comfort del paziente

Le recentissime linee guida della Società Europea di Anestesiologia indicano l’anamnesi e l’esame obiettivo come i punti centrali della valutazione preoperatoria in previsione di procedure elettive non cardiologiche in regime Ambulatoriale o di DS. L’uso della classificazione ASA, intesa come classe di rischio clinico del paziente, è da sempre un elemento di utilizzo comune non solo in ambito anestesiologico, ma anche chirurgico.

Dalla sala operatoria in regime ordinario al Day Hospital chirurgico al regime ambulatoriale: così si è evoluta negli anni la chirurgia delle varici degli arti inferiori. Si tratta di una chirurgia ambulatoriale mediamente a basso rischio clinico. Il rischio clinico preoperatorio può essere inquadrato con un questionario quanto più semplice possibile, che ciascun operatore può costruire secondo le proprie esigenze. La valutazione dovrebbe essere soprattutto rivolta alle comorbidità e dovrebbe prevedere un’accurata raccolta anamnestica familiare, personale (abuso di alcol, fumo, allergie, pregresse emotrasfusioni, particolari convinzioni religiose, ecc.) fisiologica e patologica, accompagnata da un esame obiettivo non solo angiologico. Dal punto di vista medico-legale si deve far firmare un consenso informato e la compilazione di questionari anamnestici avvallati dal medico di famiglia potrebbe aiutare nell’inquadramento del rischio clinico.

L’uso della classificazione ASA, intesa come classe di rischio clinico del paziente, è da sempre un elemento di utilizzo comune non solo in ambito anestesiologico, ma anche chirurgico. Va sottolineato che la maggior parte dei pazienti candidati a una chirurgia delle varici appartengono alle classi ASA 1 e 2. Le patologie che richiedono maggiore attenzione sono quelle cardiovascolari e respiratorie.

Più importanti per il chirurgo angiologo sono le allergie e il tema, poco considerato ma di crescente importanza, del consumo di prodotti omeopatici e integratori che possono interagire con i farmaci eventualmente assunti. Meno importante di un tempo è l’età anagrafica. Di rilievo maggiore oggi per procedure di chirurgia ambulatoriale con dimissione immediata sono la capacità funzionale e il livello di autonomia del paziente, oltre alla possibilità di ricevere assistenza nel periodo immediatamente successivo all’intervento.

Figura 1

Gli esami ematochimici, le visite specialistiche, le indagini strumentali preoperatorie sono da richiedere solo se rappresentano un valore aggiunto: necessità di modificare la tecnica chirurgica protocollata. La valutazione preoperatoria dei test della coagulazione, tempo di trombina e di tromboplastina parziale, ha rilievo nella chirurgia ambulatoriale dell’insufficienza venosa solo se è in corso l’assunzione di anticoagulanti o in presenza di una patologia legata alla coagulazione; anche un eventuale trattamento dialitico potrebbe suggerirne un’indicazione. Per quanto riguarda il digiuno preoperatorio, l’assunzione di liquidi chiari è ammessa fino a due ore prima di un qualsiasi intervento elettivo anche importante, mentre il digiuno può essere limitato alle sole sei ore precedenti l’intervento.

In sintesi, nei pazienti ASA 1 o ASA 2 avviati a procedure chirurgiche minori di solito non è necessario richiedere nessuna valutazione anestesiologica preoperatoria. L’unica eccezione si ha quando le informazioni anamnestiche richiedano di focalizzare possibili criticità in vista di un probabile cambiamento della strategia chirurgica o anestesiologica; ma questo capita raramente nella chirurgia endovenosa laser.

Anche le recentissime linee guida della Società Europea di Anestesiologia indicano l’anamnesi e l’esame obiettivo come i punti cardine della valutazione preoperatoria prima di procedure elettive non cardiologiche in regime ambulatoriale o di DS (De Hert MS et al. Eur J Anaesthesiol 2018; 35(6): 407-65). Per quanto riguarda il dolore viene misurato tramite uno score (NRS) che va da 0 nessun dolore a 10 un dolore massimo immaginabile. Esistono oggi associazioni di principi attivi che, opportunamente prescritti, possono controllare anche le condizioni di algogenicità media e, a maggior ragione, il dolore nella chirurgia endovenosa laser. Nelle procedure a basso indice di algogenicità, come quelle della chirurgia endovenosa laser, si può iniziare a somministrare del paracetamolo intraoperatorio.

Figura 2

Figura 3

È necessario controllare l’ansia preoperatoria che potrebbe portare a crisi di iperventilazione durante la procedura e che il paziente, soprattutto anziano, descrive spesso come “nodi” o “farfalline allo stomaco”. È possibile ottenerlo anche consigliando l’assunzione di prodotti di origine naturale, a partire da qualche giorno prima della procedura, sono un’ottima alternativa agli ansiolitici. È di grande importanza il comportamento e l’attenzione dell’équipe chirurgica il giorno dell’intervento. Rimane sempre possibile prevedere l’utilizzo al bisogno di un analgesico “rescue”; in caso siano necessarie procedure chirurgicamente più impegnative, per esempio delle varicectomie, dove può essere consigliabile l’infiltrazione della ferita chirurgica con anestetici locali a lunga durata d’azione (L-bupivacaina o, in alternativa, ropivacaina).

Per quanto riguarda la terapia analgesica dopo l’intervento, è opportuno ricordare che il dolore non ha un’unica origine; la terapia analgesica post-operatoria deve essere in ogni caso semplice, soprattutto in caso di assunzione contemporanea di altri farmaci. 

Un caso complesso di patologia della vena grande safena

Si va a tracciare passo a passo come affrontare un caso di vena safena critico, con una tecnologia ormai consolidata ma in continua evoluzione.

Anamnesi

Nel 2008 si presenta in visita un paziente di sesso maschile di 74 anni, obeso (indice di massa corporea 34), iperteso e diabetico in terapia orale, pensionato. La patologia flebologica è a carico della vena grande safena sinistra e si presenta clinicamente con modeste varici di coscia e gamba, senza precedenti di varicoflebite (all’anamnesi non precedenti di trombosi venosa profonda).

L’arto sinistro è edematoso, con segno della fovea e diametro della caviglia sinistra maggiore della destra di 2,5 cm, ed è modicamente sintomatico. Al terzo medio-inferiore di gamba, in sede mediale, si evidenzia ampia zona di dermite ocra (diametro massimo di 13 cm), con al centro una zona più piccola di ipodermite (diametro massimo di 4 cm). Nella zona di ipodermite si rilevano due cicatrici esiti di ulcere venose cicatrizzate. La classificazione clinica C della CEAP è quindi C2, 3, 4a ,4b, 5. Il punteggio del VCSS (Venous Clinical Severity Score) è 9. Il paziente non utilizza compressione elastica e non pratica attività fisica regolare con le gambe, anche se è attivo e si muove senza difficoltà. All’ecocolordoppler venoso, la vena grande safena sinistra è incompetente alla giunzione e sul tronco fino al terzo medio di gamba (sede dell’ipodermite), con reflusso evocabile sia con manovra di compressione/rilasciamento sia con quella di Valsalva. La giunzione safeno-femorale è dilatata (Figura 1), con un calibro massimo di 26 mm. Il calibro medio del tronco safenico è di 10 mm, con presenza di 5 dilatazioni a rosario fino al terzo superiore di gamba, con calibro massimo di 22 mm. Due delle dilatazioni alla coscia sono palpabili. È rilevabile reflusso sulla vena femorale, mentre la vena poplitea è competente.

Figura 1

Intervento

Previa valutazione anestesiologica, è stato programmato un intervento ambulatoriale di laser endovenoso della vena grande safena sinistra.

L’intervento è stato eseguito utilizzando un laser a diodi 1470 nm (Ceralas -Biolitec, Germania) e una fibra ottica a emissione radiale con un solo anello di emissione (Biolitec-Germania). È stata praticata profilassi antibiotica (il paziente è obeso, diabetico, con precedenti di ulcera) e antitrombotica (il paziente ha 74 anni ed è obeso).

La fibra ottica è stata introdotta nella safena con puntura ecoguidata, al terzo medio di gamba, al limite superiore dell’ipodermite. La punta della fibra ottica è stata posizionata a 2 cm dalla giunzione safeno-femorale, caudalmente all’origine della vena epigastica superficiale. L’intervento è stato eseguito in anestesia tumescente, con paziente sveglio. Il laser è stato utilizzato in modalità continua, a una potenza di 6 watt. Sono stati erogati 325 joule/cm nei primi 5 cm dalla giunzione e 121 joule/cm sul tronco safenico. Durante la retrazione della fibra si sono verificati vari episodi di “incollamento” della fibra stessa e la punta della fibra è risultata carbonizzata, quando è stata estratta dalla safena.

Al controllo ecocolordoppler intraoperatorio, il tronco è risultato occluso; alla giunzione residuava un moncone di circa 2 cm, competente, “lavato” dal flusso dell’epigastrica, senza segni di trombosi venosa giunzionale (EHIT). Sono state eseguite 4 flebectomie (2 di coscia e 2 di gamba). Il paziente è stato dimesso tre ore dopo la fine dell’intervento, senza alcun problema particolare. I controlli post-operatori a 2 e 7 giorni hanno confermato i dati dell’ecocolordoppler intraoperatorio (moncone giunzionale competente e tronco safenico occluso) (Figure 2, 3, 4). Il paziente ha eseguito due ulteriori controlli a 4 e 13 mesi dall’intervento che hanno riconfermato l’occlusione del tronco trattato e la competenza del moncone giunzionale.

Figura 2-3-4

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Follow-up

Nell’ambito di un programma di follow-up a lungo termine, nel 2018 il paziente è stato richiamato per una rivalutazione clinica ed ecocolordoppler a 10 anni dall’intervento. Il paziente ha attualmente 84 anni; è ulteriormente aumentato di peso (indice di massa corporea 36) e continua a essere attivo. Dopo i primi 2 mesi dopo l’intervento non ha più utilizzato elastocompressione e, dopo il controllo a 13 mesi dall’intervento, non ha eseguito ulteriori controlli. Dal punto di vista clinico il risultato del trattamento è ottimo. Il paziente riferisce di essere asintomatico; non ha avuto nessuna complicazione (in particolare recidive dell’ulcera); non presenta edema alla gamba sinistra; riferisce che la zona di dermite ocra si è ridotta di più della metà; non vi sono segni di ipodermite né di recidiva di varici (salvo presenza di varici reticolari e teleangectasie). La classificazione C della CEAP è quindi C1, C4a, C5 e il punteggio VCSS è 2. Richiesto di esprimere un giudizio sull’intervento, il paziente ha dato un punteggio di 10, su una scala da 1 a 10. All’ecocolordoppler venoso: il moncone giunzionale è corto, competente con manovra di compressione/rilasciamento e refluente sotto Valsalva, con reflusso a bassa intensità (Figure 5, 6). Il tronco safenico presenta una modesta ricanalizzazione lungo tutto il suo decorso, con reflusso solo sotto Valsalva e calibro residuo massimo inferiore a 3 mm. (Figure 7, 8). 

Figura 5-6-7-8

Conclusioni

È possibile trattare con ELVeS (Endo Laser Venous System), ambulatorialmente, un paziente complesso sia per le sue caratteristiche (età, peso, comorbilità) che per l’importanza della malattia (classe C della CEAP alta, calibri della giunzione e del tronco elevati).

Dati i calibri della vena, è necessario erogare una quantità elevata di energia, secondo le regole del x20 alla giunzione e del x10 sul tronco safenico.
L’erogazione di alte dosi di energia espone la fibra ottica radiale, specie se mono ring, al rischio di carbonizzazione e quindi con minore efficacia del danno termico. Questo problema è stato sostanzialmente risolto con la disponibilità attuale delle fibre 2 ring. Anche in presenza di un fallimento ecocolordoppler (moncone refluente e tronco refluente), nel lungo termine, il risultato clinico continua ad essere ottimo. La presenza di una ricanalizzazione del tronco safenico con calibro residuo modesto mantiene il reflusso della giunzione e del tronco (giustificando la diagnosi di fallimento strumentale), ma non determina recidive cliniche, né di sintomi né di varici né di ipodermite o ulcera (motivando la conclusione di un ottimo risultato clinico anche nel lungo termine).

Le best practice per la termoablazione laser nella malattia varicosa cronica con tecnica ELVeS: una survey tra i chirurghi italiani

Più di cento tra i maggiori esperti di termoablazione laser ELVeS su tutto il territorio nazionale hanno partecipato recentemente a una survey sulle abitudini di utilizzo della procedura, in termini di organizzazione dell’intervento, protocolli operativi e valutazione del follow-uppost-operatorio. Le risposte più ricorrenti, considerata l’autorevolezza degli intervistati, costituiscono un corpo di best practice prezioso per tutto il settore.

Nell’ottobre del 2018 si è svolto a Milano il 5° Expert Meeting sulla chirurgia laser ELVeS Radial nella malattia varicosa cronica, diventato, per i maggiori esperti italiani in questo campo, una preziosa occasione d’incontro e di confronto tra colleghi. In previsione dell’evento, nel mese di luglio, è stata condotta un’indagine conoscitiva su un campione di utilizzatori della tecnica laser termoablativa al fine di stabilire, in base alle risposte più ricorrenti degli esperti, la best practice in questa specifica procedura chirurgica.

Nella survey sono stati contattati 160 specialisti in chirurgia generale e vascolare, ciascuno dei quali con almeno cinque anni di esperienza nella terapia ablativa della malattia varicosa come primo operatore in una struttura sanitaria dotata di chirurgia, pubblica o privata convenzionata. Le strutture sanitarie di appartenenza degli expert coinvolti sono omogeneamente distribuite sul territorio nazionale e sono quindi rappresentative delle differenti realtà regionali del Sistema sanitario nazionale.

Il questionario, disponibile online, attivo per la durata di 30 giorni, era composto da 19 domande, a risposta multipla, con un controllo e verifica della completezza delle risposte, che indagavano nello specifico le seguenti aree:

  • Setting e organizzazione operatoria
  • Indicazioni e limiti della terapia termoablativa
  • Procedura e protocollo operativo della termoablazione laser
  • Valutazione post-operatoria e suo significato clinico.

Setting e organizzazione operatoria

Al fine di conoscere il modello e il setting operatorio nei quali effettuano la terapia laser ablativa della malattia varicosa, sono state somministrate sei domande specifiche per valutare il volume di anestesia tumescente utilizzata, il tempo operatorio medio per ogni procedura, il personale medico e paramedico coinvolto. Al termine è stato chiesto al partecipante se ritenesse la procedura laser termoablativa ELVeS effettuabile in un regime ambulatoriale e/o a bassa complessità.

L’analisi delle risposte ha fornito risultati molto interessanti: la quasi totalità del campione, il 93% degli intervistati per l’esattezza, effettua un’anestesia tumescente (Figura 1) e il 70% di questi utilizza un volume di tumescenza tra 150 e i 300 cc, in relazione al paziente, all’anatomia della malattia varicosa e all’esecuzione delle flebectomie. Altra informazione cruciale emersa dall’analisi è che la totalità del campione effettua la procedura laser ELVeS coadiuvato da un infermiere/ferrista; inoltre, il 26% dichiara di operare in presenza di un secondo chirurgo e solo il 19% si avvale dell’anestesista.

Alla domanda conclusiva – “Ritieni effettuabile, in sicurezza, in regime organizzativo della chirurgia ambulatoriale a bassa complessità la procedura laser per il trattamento delle varici?” – il 91% ha risposto positivamente (Figura 2).

Figura 1

Figura 2

Indicazioni e limiti della terapia termoablativa

Nell’indagine effettuata, sei delle 19 domande erano finalizzate alla valutazione delle indicazioni e dei limiti della terapia termoablativa laser, cioè, più nello specifico, alla valutazione dei diametri della vena trattata, della sua tortuosità e della sua superficialità cutanea, nonché delle tipologie trattate (grande e piccola safena, perforante) e infine dei limiti operativi al trattamento. Dall’analisi è emerso che il 54% degli expert tratta safene di diametro superiore ai 15 mm, mentre il 40% del campione risponde di utilizzare la tecnica laser ELVeS senza porre limiti tecnici e operativi al diametro massimo della vena, in quanto il protocollo operativo è realmente personalizzabile, in tutta sicurezza, sull’anatomia venosa (Figura 3).

Differente è la risposta alle domande inerenti alle indicazioni cliniche della malattia varicosa quale il trattamento della vena piccola safena (SSV) e delle perforanti. Il 73% dei partecipanti tratta abitualmente la piccola safena con la termoablazione laser ELVeS (Figura 4) ritenendola un’ottima indicazione alla tecnica laser, solo il 21% utilizza la tecnica ablativa nel trattamento delle perforanti mentre il 16% degli intervistati non esegue le flebectomie nella stessa seduta di termoablazione laser ma a distanza di qualche mese per ovviare al possibile dolore intraoperatorio e per minimizzare il trauma chirurgico delle flebectomie.

Figura 3

Figura 4

Procedura e protocollo operativo della termoablazione laser

Nella survey, domande specifiche erano dedicate alla valutazione della procedura e del protocollo operativo per stabilire la modalità di erogazione dell’energia laser, la formula per la determinazione dell’energia (joule) da erogare a ogni centimetro in relazione all’anatomia della vena, la potenza (watt) utilizzata. Agli intervistati è stato chiesto anche se nella stessa seduta operatoria effettuano in simultanea le flebectomie.

Il 79% degli intervistati utilizza la funzione Elves Signal presente sulla piattaforma laser: si tratta di un software che, tramite un avviso sonoro, facilita al chirurgo il compito di seguire il protocollo per l’energia da erogare per centimetro di vena durante la retrazione della fibra Radial 2ring, a tutto vantaggio della standardizzazione della procedura e delle facilità di esecuzione anche per i neofiti. Per quanto riguarda il wattaggio impostato, l’80% utilizza la potenza di 8 watt mentre il 18% si spinge a potenze di 10 watt a seconda dell’anatomia venosa (diametro) e della tipologia di paziente. Interessante notare invece che il 90% utilizza la regola del x10 (diametro medio vena in ortostatismo x10 = joule /cm) al fine di determinare l’energia (joule) da erogare per ogni centimetro (Figura 5). Queste percentuali di risposte sul protocollo sono di estremo interesse, poiché indicano l’uniformità del protocollo laser utilizzato dal campione e soprattutto l’adeguamento dello stesso al paziente e alla sua anatomia secondo un principio fisico comprovato e riconosciuto dalla maggioranza degli expert.

Figura 5

Valutazione post-operatoria e suo significato clinico

Infine, due domande delle survey riguardavano in modo specifico il follow-up post-operatorio e il concetto di fallimento operativo, potenzialmente associato alla mancanza di occlusione di un segmento del tronco e alla persistenza del reflusso alla giunzione safenica. Il 53% degli intervistati non considera un fallimento il persistere di un segmento di tronco non occluso qualora il segmento non sia connesso a vene varicose mentre il 14% non lo considera mai un fallimento operativo. In relazione alla presenza del reflusso alla giunzione safeno-femorale, il 74% non lo considera un fallimento operativo, ma rimane in attesa di un controllo a lungo termine al fine di valutare una possibile recidiva di sintomi o varici.

Conclusioni

  • Ridotto volume di anestesia

Dalla survey emerge con grande evidenza il ridotto volume di anestesia necessario alla termoablazione laser ELVeS rispetto ad altre procedure utilizzate nella chirurgia flebologica. Ciò implica un intervento più rapido ed efficiente, nonché un decorso operatorio più breve e con meno rischi.

  • Risparmio di risorse

La termoablazione laser ELVeS Radial, grazie alla rapidità del trattamento e al ridotto numero di personale coinvolto, consente nel medio e lungo periodo un risparmio economico per la struttura sanitaria, nonché un impiego più razionale ed efficiente delle risorse organizzative, rispetto alle procedure chirurgiche tradizionali.

  • Versatilità della procedura

Il protocollo di erogazione della potenza laser della tecnica ELVeS consente di adattare al meglio la procedura sulle specifiche caratteristiche del paziente e di trattare con grande efficacia anche i diametri venosi maggiori, notoriamente più problematici per le altre metodiche.

  • Sicurezza e facilità d’uso

La funzione ELVeS Signal, notevolmente diffusa tra gli expert intervistati, rappresenta un elemento di sicurezza in più per la corretta erogazione della potenza durante la retrazione della fibra e facilita il processo di apprendimento dell’intera procedura termoablativa.

Histopathologic

Histopathologic differences in the endovenous laser ablation
between jacketed and radial® fibers, in an ex vivo dominant extrafascial
tributary of the great saphenous vein in an in vitro model, using histology and
immunohistochemistry.

Ashpitel HF, Dabbs EB, Salguero FJ, Nemchand JL, La Ragione
RM, Whiteley MS.

J Vasc Surg Venous Lymphat Disord. 2019 Mar;7(2):234-245.
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PMID:30771831

Endovenous Laser Ablation

Evaluation of Endovenous Laser Ablation for Varicose Veins Using a Computer Simulation Model (Secondary publication).

Hazama H, Yoshimori M, Honda N, Awazu K.

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PMID: 29434428

Free PMC Article

Varico 2 Study

Prospective comparative cohort study evaluating incompetent great saphenous vein closure using radiofrequency-powered segmental ablation or 1470-nm endovenous laser ablation with radial-tip fibers (Varico 2 study).

Lawson JA, Gauw SA, van Vlijmen CJ, Pronk P, Gaastra MTW, Tangelder MJ, Mooij MC.

J Vasc Surg Venous Lymphat Disord. 2018 Jan;6(1):31-40. doi: 10.1016/j.jvsv.2017.06.016. Epub 2017 Aug 24.

PMID: 29248107